Giudicato esterno nel giudizio tributario
Anche in ambito tributario, è consolidato l’orientamento di legittimità che riconosce efficacia di giudicato esterno alla pronuncia intervenuta sulla medesima situazione di fatto e di diritto, oggetto di un precedente giudizio e passata in giudicato tra le parti:
“nel processo tributario, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano ad oggetto un medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto decisivo comune ad entrambe le cause, formando una premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto già accertato e risolto, anche laddove il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle costituenti lo scopo ed il petitum del primo” (Cass., sez. V, Ord. n. 13152 del 16.5.2019; ribadiscono il principio, tra le altre, anche Cass. Ord. n. 18875 del 26.9.2016, Cass. n. 16675 del 29 luglio 2011, Cass. S.U. n. 13916 del 16.6.2006, Cass. n. 7891 del 20.7.1995).
Nella materia tributaria, la comunanza dell’oggetto di giudizio può aversi, ad esempio, allorquando un medesimo atto, negozio o rapporto giuridico sia elevato quale fatto generatore di obblighi tributari in relazione a più periodi di imposta o ad imposte di diversa natura. Ai fini dell’efficacia espansiva del giudicato, rilevano infatti, quali fattori dotati di una valenza per così dire permanente, l’accertamento compiuto sugli elementi costitutivi della fattispecie richiamata a fondamento degli atti impositivi e/o la qualificazione giuridica del rapporto su cui insiste l’imposizione (Cass. sent. n. 13498 del 1.7.2015, Cass. ord. n. 25798 del 30.10.2017).
Merita inoltre considerare che l’efficacia espansiva del giudicato costituisce circostanza sempre rilevabile, in ogni stato e grado del processo, “anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata” e dunque nel corso del processo di legittimità (Cass. ord. n. 16847 del 26.6.2018, Cass. sent. n. 1829 del 29.1.2017).
Benché secondo un orientamento della stessa Corte di Legittimità la formazione del giudicato possa essere indagata dal Giudice, nell’esercizio di poteri officiosi (Cass. civ. sez. III, 20.1.2006, n. 1099), è assai opportuno comprovare l’intervenuto giudicato esterno, producendo una copia del precedente munita dell’attestazione della cancelleria che dia conto della mancata impugnazione della sentenza nei termini di legge.
I principi sopra enunciati sono stati applicati in un caso seguito dallo Studio in merito ad un complesso accordo di associazione in partecipazione con apporto di opere e servizi, oggetto di due distinti avvisi di accertamento. L’atto era stato ripreso a tassazione ai sensi dell’art. 109, c. 9, lett. b, del Testo unico delle imposte sui redditi, inquadrando la prestazione resa dall’associata come apporto di capitali.
Una delle cause promosse dal contribuente è stata decisa in appello con sentenza favorevole al ricorrente, avendo i Giudici condiviso la qualificazione del contratto come associazione in partecipazione con apporto di opere e servizi. La statuizione, non impugnata dall’Ufficio, è passata in giudicato.
L’eccezione di giudicato sollevata nella memoria ex art. 378 c.p.c. innanzi alla Corte di Cassazione, investita della causa afferente al secondo avviso di accertamento, è stata ritenuta fondata, e dirimente per la controversia, in quanto il giudicato afferiva alla qualificazione giuridica del medesimo fatto generatore degli obblighi tributari, qualificazione che, nel caso di specie, costituiva la stessa ragione della ripresa a tassazione.
Francesca Marchetti